L'Europa e la guerra dei dazi USA-CINA

Wed Jan 22 11:27:08 CET 2020 - Protezionismo vs libero scambio

A partire dal 23 marzo 2018, la Cina ha avviato una guerra commerciale contro gli Stati Uniti quando Washington ha imposto dazi del 25% e del 10% sulle importazioni rispettivamente di acciaio e alluminio e lo stesso giorno il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato un piano di tariffe e sanzioni commerciali sui beni importati, per un valore stimato intorno ai 60 miliardi di dollari. Tale decisione ha direttamente colpito la Cina che il giorno seguente ha risposto annunciando tasse nei confronti di 128 prodotti americani per un valore di 3 miliardi di dollari e ulteriori aumenti delle tariffe sono stati implementati durante i mesi successivi, in una continua escalation.

Il 15 gennaio 2020, alla Casa Bianca, è stato sottoscritto un accordo economico e commerciale detto "FASE1" tra il vice-premier cinese, Liu He e il Presidente Trump, che ha sancito un "armistizio solo parziale" tra i due colossi economici mondiali, in quanto restano ancora in vigore le barriere commerciali su un volume di 360 miliardi di dollari d'importazioni MADE in CHINA.

"Un passo mai fatto prima con Pechino, verso scambi commerciali corretti che superano gli errori del passato, per garantire un futuro di giustizia agli agricoltori, ai lavoratori e alle famiglie americane", ha detto il Presidente Trump durante la conferenza stampa, in occasione della firma dell'accordo. Con esso, la Cina aumenterà l'import agricolo dagli USA di soia, grano, mais, riso, carne di maiale e pollame e rivedrà alcune riforme delle politiche cinesi in materia di proprietà intellettuale e trasferimento tecnologico, mentre ampia collaborazione è stata promessa da entrambi i paesi sui temi delle svalutazioni monetarie e dell'energia. 

La battaglia tariffaria però non è finita. Gli Stati Uniti sono pronti ad aumentare i dazi sui prodotti cinesi, se la controparte non rispetterà gli impegni presi. Una distensione più ampia dei rapporti commerciali potrà realizzarsi solo con la già annunciata "FASE2" dell'accordo, che dovrebbe prevedere l'annullamento di tutti i dazi esistenti, ma che sembra destinata a proseguire dopo i risulati del voto per la Casa Bianca di quest'anno a novembre.

In questo scenario come ha reagito l'Europa?

Dopo la chiusura dell'accordo con la Cina, l'attenzione del Presidente Trump si è concentrata sul più grande mercato unico del mondo, l'Europa. La recente decisione della WTO, l'Organizzazione mondiale del commercio, ha dato definitivamente via libera all'imposizione di dazi americani sui beni europei per 7,5 miliardi di dollari, a seguito del riconoscimento dei sussidi illegali concessi da  Bruxelles al produttore europeo di aerei civili AIRBUS, che hanno causato la perdita di decine di miliardi di dollari di ricavi all'azienda americana BOEING. I beni colpiti dalle nuove sanzioni americane  sono soprattutto quelli provenienti dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna e dal Regno Unito, ma nella lunga lista compilata da Washington, sono compresi anche prodotti provenienti da tutta la UE, tra cui alcuni prodotti italiani della filiera lattiero-casearia (25% su pecorino romano, parmiggiano reggiano e Grana padano), a partire dal 18 ottobre scorso. Il Ministro degli Affari Esteri, Luigi di Maio, ha inviato una lettera rivolta ai produttori potenzialmente coinvolti dall'eventuale inasprimento dei dazi per rassicurarli degli sforzi e delle iniziative poste già in atto dal Governo, e anche dalla nostra Ambasciata a Washington, per salvaguardare gli interessi nazionali.

Da Davos, peraltro, dove partecipa al WEF (World Economic Forum), il Presidente degli Stati Uniti ha minacciato nuovamente di imporre pesanti dazi (25%) sulle importazioni di automobili dall'Unione Europea, se l'Europa non concorderà di raggiungere un accordo commerciale con gli Stati Uniti. La Presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, a tal proposito, ha mostrato ottimismo ed ha annunciato che nel giro di poche settimane sarà possibile firmare insieme un accordo quadro riguardante il commercio, la tecnologia e l'energia.

Nel frattempo gli USA hanno minacciato dazi fino al 100% sui beni francesi, dallo champagne alle borse, in risposta alla web tax approvata dal Parlamento francese e che Washington sostiene stia danneggiando le società tech statunitensi. Dal canto suo, il ministro dell'economia francese intervenuto al WEF, Bruno Le Maire, ha fatto sapere agli USA che la Francia, fino a dicembre del 2020, non richiederà il pagamento della web-tax, in attesa di capire come portare avanti i negoziati per un accordo globale sulla medesima in seno all'OCSE.

L'obiettivo successivo di Trump è quello di essere pronto a raggiungere un accordo commerciale con il premier britannico Boris Johnson, che a seguito dell'imminente uscita del Regno Unito dalla UE ha già iniziato a negoziare liberamente con gli Stati Uniti e ritiene che uno dei principali benefici del portare fuori il paese dal blocco europeo sia proprio la capacità di Londra di negoziare i propri accordi commerciali. Tuttavia, anche nel Regno Unito, in piena fase Brexit, se non si raggiungerà un accordo globale sulla digital tax, dall'aprile del 2020, entrerà in vigore la tassazione nazionale sulla web tax.

In questo scenario l'Italia, che a livello europeo non può fare molto, in quanto la politica commerciale è materia di competenza esclusiva della Commissione europea, tiene libera la strada delle "trattative" commerciali con la Cina, che dopo il rallentamento della sua economica interna è a caccia di investimenti ed affari in Europa e nel resto del mondo. Non solo, il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, ha assicurato che lavorerà con determinazione soprattutto in sede europea, ma anche nel rapporto con gli Stati Uniti, per evitare i dazi sui nostri prodotti, consapevole del fatto che questa guerra commerciale potrebbe costare all'Italia cifre fino a un miliardo di euro. Gli USA, infatti, rappresentano il nostro primo mercato extraeuropeo e il secondo dopo la Germania. La bilancia commerciale tra Italia e USA nel 2018 è stata nettamente a favore del Made in Italy, con un saldo positivo per circa 26 miliardi di euro, tra export e import. Tuttavia, anche l'Italia in caso di un mancato accordo globale sulla digital tax, si porrà sulla stessa linea della Francia e del Regno Unito, facendo scattare la tassazione italiana sugli utili dei colossi del web (Amazon, Google, Facebook), a partire dal febbraio del 2021.

Autore: dott.ssa Ester Lucà

 

 



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