La patria della grande musica

Nel 1839, anno dell’esordio di Verdi con l’”Oberto conte di San Bonifacio”, si stima che in Italia (compresi Nizza, il Trentino, la Venezia Giulia con l’Istria e Zara) fossero attivi circa 150 teatri. Rispetto ai numeri d’Europa è un dato sorprendente che conferma, una volta di più, la primazia italiana in campo musicale. Nel patrio Stivale, per quanto diviso in stati e staterelli, la musica è il vettore dell’approdo della società post feudale alla modernità. Attraverso le note una nuova classe — la borghesia — si affaccia sulla scena sociale e un abbozzo di coscienza nazionale inizia a scorgersi, coinvolgendo anche ceti più deboli. Nel primo Ottocento, mentre la musica sinfonica e da camera rimane privilegio dell’aristocrazia — in Italia un paesaggio sociale per nulla marziale (con l’eccezione del Piemonte sabaudo), meno esaltante e rappresentativo delle caste patrizie d’oltralpe e di Spagna —, il melodramma è lo spettacolo più diffuso e amato. È l’età romantica che traduce, in campo artistico nuove sensibilità e una mutata concezione del lavoro creativo.
SpartitiAll’epoca, secondo le statistiche del corrispondente della “Allgemeine musikalische Zeitung” di Lipsia, nella stagione di carnevale 1839/1840 circa 80 teatri presentarono spettacoli d’opera, di cui 17 nel Lombardo-Veneto, 17 negli Stati pontifici, 15 nel regno Sardo, 15 nelle Due Sicilie, 10 in Toscana, 2 nel ducato di Parma, 2 nel ducato di Modena e 1 nel ducato di Lucca. Nel carnevale 1845/46 i teatri furono 88, di cui 21 nei domini papali, 19 nel Lombardo Veneto, 17 nel regno Sardo, 13 nel granducato di Toscana, 12 nelle Due Sicilie, 6 nei ducati di Parma, Modena e Lucca. Nella precedente stagione di primavera (1845) si erano aperti 56 teatri (di cui 18 nel Lombardo Veneto, 13 nel regno sardo, 8 negli stati della Chiesa, 8 nel regno Borbonico, 5 in Toscana e 4 nei ducati) e ben 65 nella stagione d’autunno (26 nel Lombardo Veneto, 11 nelle Due Sicilie, 11 nel regno Sabaudo, 6 negli stati della Chiesa, 6 nel granducato di Toscana, 5 nel ducato di Modena).
In ogni teatro si tenevano almeno una stagione primaria e una stagione secondaria. Nel corso della primaria si rappresentavano solo opere “eroiche”, ovvero serie con ballo: di prassi si presentavano al massimo tre lavori, per un numero di recite che poteva variare — a secondo dei teatri e della stagione — da 35 a 50. In caso di particolari successi — artisti ma anche economici — si apriva un supplemento di recite. Nei teatri principali i balli erano solitamente due e venivano eseguiti a metà della rappresentazione, normalmente dopo il secondo atto.

Le opere in cartellone erano di norma “nuove”, cioè non ancora rappresentate in loco, oppure “espressamente composte” (per La Scala, la Fenice, il San Carlo era d’obbligo allestirne almeno una per ogni stagione primaria). Il cartellone, sia nella primaria che in quella secondaria, poteva comprendere una o più opere di ripiego, scelte tra quelle già presentate. Il cartellone di mezza stagione era costituito da opere comiche o di “mezzo carattere” — ad esempio “La sonnambula” o Linda di Chamounix” —, non di rado accompagnate da un ballo. Nei piccoli centri e nei teatri minori la stagione secondaria corrispondeva alla stagione secondaria dei centri maggiori e presentava soltanto opere comiche e semiserie.

Nei complessi principali — come La Scala, la Fenice, il Regio di Torino, il Carlo Felice, la Pergola, il Grande di Trieste, il Comunale di Bologna, l’Apollo e l’Argentina di Roma, il San Carlo, il Carolino, nei quali la stagione di carnevale si prolungava spesso al periodi di Quaresima — si tenevano due o più stagioni primarie. Non era però raro che anche in altri teatri — il Regio di Parma, il Comunale di Modena, il Concordi di Padova, il Comunale di Perugia, ecc. — tenessero un’altra stagione di sopra seria, con o senza ballo, in un altro periodo dell’anno. Insomma, ogni dove e ogni tempo, in Italia si ascoltava musica.

 

 

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Ultimo aggiornamento: Wed Jul 05 09:21:09 CEST 2017
Data creazione: Tue Jul 04 16:06:15 CEST 2017